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A dicembre 2020 il commercio era ancora oltre un decimo sotto i livelli del 2019: ecco i dati Confcommercio


A dicembre 2020 il commercio migliora, ma resta oltre il 10% sotto i livelli del 2019. A dirlo è il rapporto Congiuntura Confcommercio pubblicato nel mese di gennaio, che fotografa il profondo rosso delle attività legate al commercio in un periodo legato dalla forte incertezza per il futuro e, ovviamente, dalla pandemia. L’Indicatore dei Consumi di Confcommercio (ICC) relativo a dicembre 2020 fa segnare un -11,1% rispetto allo stesso mese del 2019. Una caduta inferiore al -16,2% fatto segnare a novembre, ma che chiaramente non permette di festeggiare. La riduzione è da imputare integralmente al mercato dei servizi, che perde addirittura il 41,3% rispetto all’anno precedente (mentre i beni si limitano ad un -0.6%). Nel 2020 l’indicatore registra un calo del 14,7%, causato anche qui da un -30,3% nei servizi e da un -7,9% nei beni. Gli unici settori che reggono, secondo l’analisi di Confcommercio, sarebbero l’alimentazione domestica (+2,1%) e le comunicazioni (+8,7%). Questo calo del 14,7% è tuttavia calcolato secondo i criteri di Confcommercio stessa, trattandosi di un loro indicatore: “Il dato non riflette il calo complessivo dei consumi, per i quali la nostra stima si conferma del -10,8% sul territorio. La differenza risiede nella diversa composizione dell’indicatore rispetto ai consumi di contabilità nazionale. Oltre all’assenza dei fitti figurativi, voce che si stima essere diminuita decisamente meno rispetto al resto e che rappresenta oltre il 14% della domanda, non sono rilevate dall’indicatore alcune spese perlopiù obbligate come l’acqua, lo smaltimento rifiuti, i servizi finanziari. Allo stesso tempo non sono computati alcuni servizi alla persona, il cui andamento è stato meno condizionato dalle restrizioni imposte dalla pandemia”, scrive nella nota l’Ufficio Studi. All’interno dei numeri elaborati dell’ICC, il settore più colpito risulta essere quello degli alberghi, pasti e consumazioni fuori casa. Questa categoria, tra le più colpite dalle restrizioni anti-contagio, nel 2020 risultano avere perso il 41,2% rispetto al 2019. In particolare, gli alberghi avrebbero più che dimezzato gli affari (-52,0%) e i pubblici esercizi se li sarebbero visti ridurre di oltre un terzo (-37,7%). Male anche i beni e servizi per la mobilità, che registrano un -24,2% nel 2020. Il settore automobili perde il 19%, quello dei carburanti il 22,2%, quello dei trasporti aerei addirittura il 72,8%. Abbigliamento e calzature seguono a ruota con -23% nel corso dell’anno, con un quarto trimestre disastroso (-18,5%) che fa peggio del terzo trimestre (-14,8%), segnale di come la crisi dei consumi non sia rientrata dopo i mesi estivi. I beni e servizi ricreativi hanno visto i loro affari ridursi del 19,5%, on un -74,7% nei servizi ricreativi e un -13,0% per giochi, giocattoli e articoli per sport e campeggio. Scendono paradossalmente anche le spese degli italiani per i prodotti farmaceutici (-3,9%), con un -6,2% per il macrosettore dei beni e servizi per la cura della persona. “Nell’incertezza riguardo alla “matematica” dell’epidemia a causa dell’assenza di una stima dell’efficacia delle misure di contrasto, la collocazione temporale del momento della normalizzazione e, quindi, della ripresa economica, diventa un esercizio di speranza più che di proiezione di tendenze ragionevolmente prevedibili. Pure immaginando una ripresa nella tarda primavera, assumendo vasta efficacia delle attuali campagne vaccinali in Italia e nei paesi partener commerciali, di fatto le restrizioni all’attività produttiva si protrarranno ancora a lungo. L’esercizio di realismo cui si è obbligati porta a non escludere un mancato rimbalzo dell’economia italiana nel 2021, deludendo le aspettative di un concreto recupero di ampia parte delle perdite di prodotto e di consumi patite nel 2020”, registra la nota dell’Ufficio Studi.


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