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Plusvalenza per il coniuge che rivende quanto acquisito in sede di separazione o divorzio


Risposta Interpello n. 153/2025. I trasferimenti immobiliari attuati in sede divorzio e di separazione (Corte Cost n.154/1999), sono per legge “esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” (art.19 L. 74/1987). In genere, i giudici preferiscono demandare questi trasferimenti ai notai, dato che si tratta di “campi minati” giuridici, cosparsi di insidie e nullità formali, non sempre agevolmente gestibili da chi non vi si dedica con continuità. La giurisprudenza (Cass SU 21761/2021) ha comunque riconosciuto validità anche ai trasferimenti giudiziali, cui si estendono i benefici fiscali. Benefici che però, per l’Agenzia delle Entrate (Risposta a interpello n. 153/2025), non riguarderebbero la rivendita effettuata nei successivi cinque anni dal coniuge che l’ha acquisito, che sarebbe soggetta ad imposta sulla plusvalenza come “reddito diverso” (art. 67 c.1 lett. b),  DPR  917/1986, TUIR). In pratica, la differenza tra il prezzo di acquisto aumentato dei costi inerenti e quello di rivendita (art. 68 c. 1 TUIR) viene tassata con l’aliquota ordinaria IRPEF, a meno che si scelga di pagarla subito, tramite il notaio, al 26 % (l'art. 1 c. 496, L.266/ 2005). Dato che non è facile individuare il valore di partenza, l’improvvido interpellante aveva chiesto lumi all’Agenzia, che non ha mancato di fornirli. Sul presupposto che l’atto sia sempre da considerarsi a titolo oneroso, l'ha infatti prontamente assoggetto a tassazione, partendo dal valore dichiarato nel provvedimento giudiziale o nell’accordo omologato. Già il presupposto è discutibile. L’agenzia lo ripesca da una risalente risoluzione del 17 ottobre 1984, n. 22, per cui “il trasferimento in proprietà della quota di un immobile tra ex coniugi, in ottemperanza a quanto deciso dalla sentenza che ha disposto la cessazione degli effetti civili del matrimonio è senz'altro da considerare a titolo oneroso” poiché trova il suo “fondamento nella sentenza di divorzio che ha posto un regolamento economico tra gli ex  coniugi, ma al contempo la causa dello stesso è rinvenibile nello scambio tra il valore del fabbricato ceduto e la tacitazione di ogni pretesa economica da parte dell'avente causa”. La causa dei contratti (art. 1325 n.2 ) c.c.) non è mai pacifica in generale, i giuristi vi si arrovellano da secoli solo per spiegare che cosa sia, figuriamoci in questo caso. La Cassazione, ci spiega che ”le attribuzioni patrimoniali dall’uno all’altro coniuge [… ] sfuggono  alle connotazioni classiche dell’atto di donazione [...] e a quello di un atto di vendita. (Cass. 23/1899). E, come nella canzone di Jarabe de Palo, “depende”. De que depende? “dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustifichi lo spostamento patrimoniale tra i coniugi”(Cass.26127/2024).   Tradotto: se risulta che salda i conti tra i coniugi il trasferimento ha causa “solutoria” perché adempie agli obblighi di mantenimento di coniuge e figli, ed è oneroso; se no è gratuito, e quindi, tra l’altro, più agevolmente revocabile ex art. 2901 c.c. (Cass. 26127/2024).   In generale l'atto dovrà considerarsi oneroso, ma se l’Agenzia calcola l’imposta partendo dal valore attribuito all’immobile o a quanto versato all'atto, contraddice lo stesso presupposto da cui parte, dato che il “corrispettivo” non si esaurisce nell’eventuale importo versato, nemmeno sempre, dal cessionario al cedente, ma rientra in un più ampio accordo volto a definire la crisi coniugale, la cui quantificazione non è mai prevista, perché non serve, nemmeno a fini fiscali data la totale esenzione da imposte. Esenzione che non è tra l’altro limitata alle imposte indirette, inerenti il trasferimento, ma estesa ad “ogni altra tassa”, comprese quindi quelle sui "redditi" che da quel trasferimento derivano, che non evidenziano capacità contributiva, né reddito prodotto. Del resto l’esenzione si estende anche all’imposta (ex art.15 DPR 601/1973) prevista per i mutui finalizzati ad estinguere il finanziamento richiesto da entrambi i coniugi per l’acquisto (Risposta ad interpello n. 260/2022) ed Ai trasferimenti effettuati ai figli, se costituiscono “elemento essenziale e condizione indispensabile per giungere alla soluzione della crisi coniugale”  (Circ. n. 27/E,  21 giugno 2012). C’è da chiedersi quale sarebbe in tal caso il valore di partenza. ed è facile rispondere che non c’è, perché non c’è un prezzo d’acquisto né una contropartita economica quantificabile. La richiesta dell’Agenza è dunque priva di legittimazione costituzionale e sistematica. Non vi si ravvisa infatti nemmeno la ratio sottesa all’imposta sulla plusvalenza, evidenziata dalla stessa Agenzia nella tassazione dei “guadagni derivanti dalle cessioni immobiliari poste in essere con l'intento speculativo”, difficile da immaginare, a meno di ritenere che la separazione o il divorzio costituisca un “affare”, per i coniugi e la loro famiglia. Magari per qualcuno ...


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